Avete mai sentito parlare di macère? ecco la storia di un muretto a secco a Galluccio (Caserta) scritta per la newsletter della Tenuta Adolfo Spada della quale curo la comunicazioen strategica. m.p.
Un vigneto di 22 ettari come quello della azienda Tenuta Adolfo Spada a Galluccio (Caserta) è un piccolo universo da scoprire. Basta soffermarsi un attimo mentre si passeggia o lavora in vigna per essere colpiti da qualcosa che non si era mai notato. La sistemazione di una piccola porzione di vigneto di nuova acquisizione collocata a ridosso del grande vigneto centrale dal quale proviene l’aglianico che dà vita al Gladius ha restituito una sorpresa inaspettata.
Sotto gli occhi del responsabile della cantina, il giovane e bravo enologo gallucciano Luca Paparelli, sono emerse prima una serie di pietre di una certa curiosa regolarità, e poi un blocco più articolato. Non ha stentato, lui che è cresciuto tra quelle terre, a riconoscere un’antica “macèra”, ossia una porzione di un muro a secco, costruito, come si soleva, senza calce.
Il ritrovamento è stato poi oggetto della curiosità di tutta l’azienda, parlando di un suo passato certamente antecedente all’acquisto dei terreni da parte del suo fondatore, Adolfo Spada, nei primi anni Settanta. Nei pressi del complesso vulcanico di Roccamonfina, ai cui piedi sorge l’azienda, invero, le pietre non devono essere mai mancate.
Come documentato anche dal blog Roccamonfina Natur Art, il vulcano, estintosi 50000 anni fa, ha costantemente fornito la materia prima e l’uomo, nel corso dei secoli, l’ha utilizzata per i suoi scopi. I muretti a secco hanno da sempre accompagnato e contraddistinto le fasi di insediamento umano sul territorio e i processi di messa a coltura dei suoli.
Con il passare dei secoli, parallelamente all’intensificarsi del processo di specializzazione delle terre e di frammentazione della proprietà, questa trama di pietra è andata infittendosi fino a connotare significativamente alcuni territori del Sud Italia. Anche nella campagna campana erano numerosi. I padroni di grandi estensioni di terreno commissionavano agli “ammaceratori”, operai che costruivano le “macère”, la divisione, con questo sistema, in particolare, dei pascoli. In “Come eravamo” Michele Ceddia descrive nei dettagli la realtà rurale alle spalle di questa semplice opera di architettura che è parte integrante del disegno del paesaggio. “Quelle pietre – scrive – venivano messe su con una certa maestria a cominciare dalla base, che era sempre più larga e con massi più pesanti, sino al vertice che chiudeva con una catena la quale aveva il compito di tenere legate le pietre più lunghe e di una certa consistenza poste alla conclusione della macèra”.
Il muro il più delle volte serviva a costruire una “rezette”, vale a dire un abitacolo, una capsula di muri a secco, detto “pagghiare” . Per rifinire la macèra, racconta sempre Ceddia, l’ammaceratore, il cui lavoro era spesso pagato in natura con granaglie, legumi e altro, metteva, a chiusura avvenuta con la catena , nei buchi che restavano, il “civatore” ossia del pietrisco. Si compone, insomma, davanti ai nostri occhi, con la scoperta di questa macèra nei terreni della Tenuta Adolfo Spada, l’immagine di una società rurale, povera e anche in parte arretrata, ma che ha lasciato un segno indelebile di sé solo in parte deturpato dall’avanzare del tempo. (di Monica Piscitelli)
Immagine: Roccamonfinanaturart