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ROBERTO DI MEO a Salza Irpina dove sorge la sua storica cantina |
articolo pubblicato su www.lucianopignataro.it
Non c’è che dire, la Campania vanta alcuni tra i migliori bianchi del Paese. E quindi del Mondo. Penso alle nostre Docg, ma anche a certi vitigni minori che con fatica si affacciano al mercato. Sembra che sia un momento d’oro per il Coda di Volpe. Un vitigno che, a dispetto del nome, non è stato molto furbo nella sua vita, essendo rimasto, appunto, dietro ai vitigni con i quali ha da sempre diviso il campo. Non in senso metaforico, ma per davvero, essendo presente costantemente nelle vigne coltivate a uso familiare, in particolare, Irpinia e nel napoletano dove, sul Vesuvio, è, in realtà, confuso con il Caprettone.
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la impeccabile coda di volpe 200 Di Meo |
Nell’avellinese tradizionalmente gli toccava il ruolo di arricchitore del blend, riuscendo a ricomporre l’acidità di Fiano e Greco che, cosi’, si presentavano già più pronti al lancio sul mercato. Questo ruolo di comprimario gli è storicamente costato caro, assumendo l’aria di vitigno “strumentale”, senza specificità gusto olfattive, come se fosse utile ad “allungare il brodo” . Quando poi si è trattato di fare del vino business, è stato espiantato senza gran rammarico. Che farsene di un vitigno poco produttivo, che ricorda i tempi duri del passato e le cui potenzialità non sono state contemplate? Tutto sommato la sua dipartita è sembrata una perdita modesta. A pochi è venuto in mente che per avercelo messo, il bravo contadino, con la sua proverbiale sapienza, doveva pure avere un buon motivo. Senza contare che per destinarlo al blend con i blasonati bianchi di punta della regione, di certo, qualche numero doveva pur avercelo. Chi, insomma, ha esercitato il rispetto della tradizione e dei vecchi – pochi invero – sono stati premiati ricevendo grandi soddisfazioni dal Coda di Volpe in un’epoca in cui il consumatore più avveduto è alla ricerca di qualcosa di diverso.