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Spaghetti al Pomodoro San Marzano foto monica piscitelli |
Troppo facile dire pasta al pomodoro. Troppo facile liquidare un piatto che un monumento alla Dieta Mediterranea come già visto. Quando la pasta è “col baffo” – cioè prodotta con grani di qualità, trafile di bronzo ed essiccata lungamente a bassa temperatura (deve arrivare circa al 12,5% il valore dell’umidità del prodotto secco)- e quando il Pomodoro è un ottimo San Marzano, la musica è un’altra.
Questi i presupposti della giocosa riunione per pochi proposta da Tommaso Esposito alla Scuola Dolce e Salato di Maddaloni (Caserta), complice un Peppe Daddio, chef e docente, raggiante e divertito. Sei formati di pasta (dei Pastifici Leonessa, Le Gemme del Vesuvio e Dei Campi) – Riccioli, Paccheri lisci, Spaghetti, Rigatoni, Calle e Pappardelle – di tre Pastifici del napoletano hanno sfidato la salsa di Pomodoro per far comprendere, grazie al confronto punto a punto, quale il più felice matrimonio. Qua e là riflessioni, considerazioni, note tecniche e appunti di degustazione.
Daddio cucina aiutato dal suo staff e il pubblico, tra cui io e Pignataro, co-creatore della mattinata, e molti amici, osserva e fa domande. Approdo finale la quasi unanime definizione di una classifica che vede ai primi posti: Spaghetti (il piatto più fresco), Pappardelle (il più goloso), Rigatoni (il più armonioso). A seguire gli altri senza grandi differenze, sebbene personalmente spezzerei una lancia per i Riccioli, grandi e vaporosi che ho trovato molto gradevoli, capaci di farsi avvolgere dalla salsa rimando leggeri.
Si è trattato di un laboratorio, insomma. E come tale proviamo a trarre delle conclusioni. Utili in tal senso, a supporto, alcune note tecniche offerte dalla presenza di Oscar La Leonessa oltre ai tanti trucchetti svelati da Peppe Daddio che nella preparazione dei piatti fa generosamente riferimento ai vecchi della sua famiglia e alle ricette della tradizione napoletana. La sua è una cucina confortante, ricca ma semplice, che non ricerca sorprendenti contrappunti o chiaro scuri ma che ripesca nella memoria di ciascuno accendendola con piccoli tocchi personali e discreti, alcuni semplicemente dettati dalla perfetta messa a punto delle tecniche di cottura.
E‘ il caso del Fusillo napoletano con guance (pancetta) di Baccalà e finta carbonara (fiori di zucca ridotti in crema al posto dell’uovo, che, precisa, comunque non va strapazzato); quello della emulsione di olio, aglio a fettine e peperoncino con l’acqua di cottura per l’uscita di un magistrale Spaghetto aglio olio e peperoncino e ancora quello dei Bucatini Cacio e Pepe per i quali il formaggio e i pepe pestellati sono ridotti in crema fuori dal fuoco, dopo cottura “passiva” della pasta. E così via.
La pasta rigata, invenzione dell’industria che aveva dovuto rinunciare, a causa dell’essiccazione ad alte temperature, alla tipica ruvidezza della pasta (che caratterizza quella “tradizionale”, o “artigianale”), è oggi, anche da piccoli pastifici, proposta per ragioni di “palatabilità”: è gradevole al gusto. Il motivo per il quale un Rigatone accoglie ed esalta molto bene i sughi è che, conferendo la rigatura spessore diverso alla pasta, nei punti dove lo spessore è maggiore (quelli che in sezione sono i “dentini”) si verifica una maggiore scissione dell’amido per la cottura più prolungata.
Forse è il caso di mettere alcuni punti fermi sulla degustazione: la pasta va preparata al dente, in abbondante acqua (1 litro per 100 gr, con 10 -12 gr di sale) e degustata, preferibilmente, senza sale, senza condimento o magari con un pò di olio extravergine di oliva, così da valutarne la capacità di assorbimento del condimento.
In breve (un breve riepilogo per tutti): si degusta valutandone l’aspetto prima e dopo la cottura (l’incremento di volume deve essere non eccessivo), il profumo (preferibilmente franco della sua materia prima), l’omogeneità (indicativa della qualità delle semole), la collosità (non deve appiccicarsi), la consistenza (deve essere elastica ma anche resistente sotto i denti) e la tenuta alla cottura (non si scuoce anche dopo scolata) e, infine, il grado di assorbimento del condimento. Ovviamente il gusto.