Quel pazzo di fotoreporter che è arrivato a Lampedusa stamani è mio cugino, il figlio del fratello di papà. Come se fosse un fratello visto che la sua famiglia è stata un pò la mia. Lo avevo lasciato circa tre settimane fa a piazza Borsa con un casco in testa e sulla vesparella con la quale sfreccia in città da alcuni mesi. Parlata convulsa e sguardo perso, come assente, lo stesso che ho anche io. Mi dicono.
E’ forse quest’aria un pò distratta, questa determinazione al limite dell’ascetismo che è valso a tutti e due il tormentone “siete uguali”. A dirlo la famiglia. 10 anni buoni mi separano da questo cugino che ho visto nascere e crescere, sempre riflessivo e un pò in un mondo suo. Poche chiacchiere e molti fatti. Proprio come due settimane fa circa quando si è messo su un aereo con destinazione Tunisi, credo, per fare delle foto e, me lo ha detto poi, con l’idea di prendere la strada della Libia o dell’imbarco con i profughi con destinazione Lampedusa. Bene non sapeva.
La prospettiva m’è parsa folle, ma altrettanto lontana. Non ho avvertito la gravità della cosa, invero, fino a che non mi sono trovata questo pomeriggio da sola nella mia auto alla pompa di benzina a ripensare a queste due settimane e a considerare che, per davvero, quella benedetta nave stava per affondare. Imbarcava acqua e lui ha chiamato soccorso, ho saputo. Ho sorriso pensando “per una volta aveva il cellulare carico. Pure quello dimentica, come me del resto, nella sua folle corsa con la fantasia e con i progetti”. A saperlo di nuovo con i piedi per terra, mi è sceso un gran magone.
Sento il suo destino vicino al mio, non perchè genericamente siamo due “distratti, con la testa per aria” come dicono a casa, ma perchè, curiosamente avendo scelto entrambi – a margine di due percorsi diversi – una professione nella informazione, costruiamo passo dopo passo il nostro futuro in una terra che non ci regala nulla se non la sua incredibile bellezza.
Sarà per questo che ci sentiamo vicini a chi non ha nulla come gli immigrati, lui, o a chi combatte ogni giorno per emergere nella selva di un indistinto mare lento, nell’agricoltura.
Ho ammirato le foto splendide di mio cugino in questi giorni. Il suo “occhio” era sotto i miei da tempo e ho visto crescere il suo talento, taleto che attribuisco a una grande scuola del gusto che è della famiglia e alla sua instancabile voglia di sfidare i suoi limiti. Penso alla fortuna di aver un bagaglio cosi’ ricco sulle spalle.
Ma un dono può essere messo a frutto o buttato alle ortiche. Lui lo ha coltivato determinazione senza mai partorire un progetto avventato. La sua è piuttosto la lucida determinazione di un giovane fotoreporter che ama visceralmente il suo lavoro e che sa che occorre dare il tutto per tutto per essere numeri uno. A chi dice che i giovani del Sud preferiscono la via breve della pappa e nanna a casa dei genitori, a quei giovani che usano il pretesto del non avere altra scelta per vendere se stessi al migliore offerente, o peggio vendere i propri sogni, porto l’esempio di Giulio, integerrimo esempio di lavoro e di passione senza confini nè paure. Uno che arrivato dopo un viaggio che chiamare poco confortevole è da ridere, alla mia domanda “come è andata?”ha risposto: “è stato bellissimo”. E poi si è messo a lavorare sodo per completare il suo servizio fotografico lanciando strali a chi voleva distoglierlo.
Alla soglia dei quarant’anni posso dire che a questi ragazzi, e a quelli che verranno, occorre dare risposte perchè non debbano andarsele a cercare in fondo al mare. Ecco cosa chiedo agli amministratori futuri e a candidati che presto soffocheranno la città stanca di Napoli di slogan, poster e volantini. Ci vuole poco, basta volerlo. Io sogno che qualcuno lo voglia.
foto: giulio piscitelli