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Monicotterando – Pescheria Mattiucci e alcune divagazioni di Urban Mythology

30 Novembre 2009 by Monica Piscitelli

Un pò di Urban Mythology

Ci sono figure della Napoli d’oggi che sono quasi delle nuove maschere, ma sono più difficili da descrivere.
A Napoli il “chiattillo” è l’antitesi del “tamarro”. Entrambi sono degenerazioni della napoletanità che non trovano collocazione nell’antica schiatta della città. L’uno non è parte della schiera, piuttosto ristretta invero, dei nobili cittadini di Parthenope, per lo piu’ coincidendo con i rampolli delle famiglie arricchite; e l’altro supera di molto la fantasia più vivida del macchiettista del popolino.
I due gruppi si evitano poco cordialmente e ciascuno vorrebbe l’estinzione dell’altro. Seguono la moda, ma divergono nei gusti pur essendo accomunati dall’ossessione per le marche. Pashmina per lui e lei, capelli da coiffeur e manicure per i primi; bomber nero lucido, orecchini vistosi e cicatrici vere, o finte, sulle sopracciglia per gli altri.

Parlano ad alta voce, e impongono la loro presenza con il fare snob di chi tollera gli altri; o a colpi di acceleratore e risate fragorose che fanno dissipare gli astanti.
Hanno una diffusione iniqua nel tessuto sociale della città: mentre i primi tendono a concentrarsi in zone determinate e degne della loro presenza; i secondi sono uniformemente diffusi in tutti i quartieri. I chiattilli, letteralmente “pidocchi” (in quanto definiti parassiti), abitano a sera il quartiere Chiaia e San Ferdinando, zona anche detta de “i baretti” di San Pasquale, ma anche via Aniello Falcone e qualche locale qua e là. Vico Belledonne a Chiaia è il loro quartier generale per la vicinanza al Liceo Umberto che sembra sia, ma sempre di più era, il luogo deputato alla loro formazione.
Si tratta di una area fortunata della città: pedonalizzata, benestante e piena di locali. Una delle poche zone vivibili a sera, alla quale accede un pubblico abbastanza eterogeneo. Qui i Mattiucci hanno la loro Pescheria.
Il locale che parla di mare a tutti
Da qualche anno, tenendo aperto a pranzo (dal martedì al sabato), e fino alle 22,30 il martedì, giovedì e venerdì, questo locale ha fatto un’opera inaspettata di sensibilizzazione dei frequentatori di questo reticolo di stradine, all’amore per il mare e per i suoi prodotti. Per taluni, molto probabilmente, mangiare frutti di mare, tonno rosso, pesce spada, calamari, gamberi e altro, in piedi o seduti su semplici barili in plastica destinati a contenere l’acqua di mare, è poco più che un aperitivo originale da accompagnare ai Biancolella, ai Fiano di Avellino e agli spumanti campani, per altri è parte di uno stile di vita che premia la creatività, la qualità degli alimenti e che attinge alla tradizione del capoluogo campano.
Sotto l’apparenza di locale ultimo grido “neopauperista”, che di sera si sveste dei panni di modesta pescheria per indossare quelli di punto di ritrovo alla moda, La Pescheria Mattiucci nasconde diverse generazioni di pescatori. Luigi Mattiucci, nipote di Luigi L’Ostricaro, da dietro al bancone, accoglie i visitatori più scettici, parlando a tutti con lo stesso entusiasmo e semplicità delle tecniche di pesca e dei prodotti che ha davanti: il Palombo di Punta Campanella, i gamberi di Marina di Camerota e il Tonno di Sciacca. Con lui, Diego Simonetti chef che cura anche la preparazione del cotto. Una cantinetta frigo eroga una selezione di etichette che indugia generosamente sui vini campani. Pochi fronzoli: si mangia e beve rigorosamente in plastica, su semplici tovagliette di carta ordinate su un bancone in vetro che dà sulle aragoste vive e i frutti di mare in decantazione. Ma il pesce è da far tremare le vene.
Io ci ho fatto un salto il weekend scorso e me ne sono andata via sotto l’effetto di una vecchia nuova fascinazione per il mare che bagna Napoli. Ho poi scoperto, dal web, che la Pescheria cavalca tutti i ritrovati delle moderne tecnologie per stare sull’onda: ha un sito molto ben scritto, è Laboratorio gastronomico che eroga servizio di catering, vende il pesce fresco su E-Bay in tutta Italia ed è presente nei social network.
Ecco un bel esempio di come rinnovare e dar nuovo lustro a una tradizione.
Foto: Monica Piscitelli

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