Con tutto il battage pubblicitario che ha avuto il lancio del nuovo locale di Donatella Arpaia- giovane anello di una catena di imprenditori italo americani che enorme successo hanno riscosso con i loro locali negli States – in fondo, l’oggetto del dibattere, la pizza, non è poi cosi’ cara da “Donatella”. Davo infatti un’occhiata alla carta del locale neo inaugurato a Chelsea (Donatella, 184 Eighth Ave., nr. 19th St), on line da Grub Street New York (qui: http://images.nymag.com/images/2/daily/2010/09/22_donatella-menu.pdf).
14 dollari per una Margherita, se non è pochissimo, è decisamente un prezzo ragionevole per la Grande Mela. In questi casi pensare ai prezzi originari non ha infatti alcun senso. Una Margherita a Napoli costa 4,5 euro, fino a 6 euro, ma già a Roma, a circa 220 chilometri, il prezzo è raddoppiato.
Mi fa sorridere e mi fa pensare (anche qui) alla decisa aderenza al modello napoletano, la differenza di prezzo tra la Marinara (pomodoro, aglio e origano) e la Margherita: 12 contro 14 dollari. A Napoli siamo, direi, affezionati a questo dettaglio nostalgico che ci ricorda la povertà di questo piatto, nel quale la mozzarella, il latticino, era un elemento di “arricchimento” sostanziale.
Plaudo alla scelta dei piatti (più pizzeria – trattoria napoletana di così!): parmigiana di melanzane, zucchine alla scapece, zuppa di cozze. Poi i fritti: calamari, crocchette di patate, mozzarella in carrozza, arancini. Tra i primi alcuni grandi classici: genovese, lasagna di Carnevale e alcuni spunti: bucatini alle alici e spaghetti ai ricci di mare (!). In Rosticceria, stuzzica, accanto al classico pollo arrosto, l’Orata grigliata. Non potevano mancare le insalate che gli americani amano tanto.
Nessun riferimento, cosa che caratterizza le carte delle tavole degli States di questa categoria di locali, l’odiosa classificazione secondo la misura (da S a XXL) e agli extra.
L’imprenditrice fa dunque un’operazione “purista”. In effetti, tutto lo anticipava. Ad esempio la grande intuizione di coinvolgere nella impresa dell’allestimento del suo locale, per quanto riguarda il suo cuore, forno e dintorni, un pizzajuolo del rango di Enzo Coccia (qui www.enzococcia.it/index.html il nuovo sito personale del pizzaiuolo e della sua La Notizia Pizzaria che a breve inaugurerà con un locale nuovo, ma sempre “vecchio”) che negli scorsi mesi a fatto lo yo-yo tra Napoli e NYC e un grande artigiano vero come Stefano Ferrara (www.sfallestimenti.it), quasi misconosciuto ai più (ma gli addetti al settore italiani giurano di conoscerlo tutti), ma famoso all’estero. Poco importa, poi, quanto lo fosse, penso io. Il rispetto per tre generazioni di artigiani a Quarto, penso, diventa assoluto.
“Donatella”, cosi’, parte con il piede giusto e diventa già famoso prima di infornare il suo primo centinaio di pizze. Merito, scrive Grub Street New York, di un buon imprinting di pubblicitari professionisti.
Gli ingredienti ci sono tutti: prestigiose consulenze di napoletani doc, ingredienti top (non è pensabile coinvolgere Enzo Coccia in una pizza – consulence senza che imprima il suo marchio indicando esattamente cosa e come. E ne pretenda il religioso rispetto), un forno come mamma Napoli lo ha fatto e una città affamata di pizza e in cerca di riannodare di continuo, anche a tavola, i fili di una delle sue molteplici identità. Il locale, poi, è chic (un misto metropolitano e country style), come mostrano le foto (qui: http://newyork.grubstreet.com/2010/09/donatellas_pizzeria.html#photo=1×63433).
Circa queste ultime: sicuramente le pizze che si vedono nelle immagini sono di Coccia in persona. le riconosco dall’ordine degli ingredienti (qui il perchè: http://campaniachevai.blogspot.com/2009/12/monicotterate-enzo-coccia-io-artigiano.html).
Con queste premesse (sarà, però, un allievo di Coccia il pizzajuolo d Donatella?), alla prossima volata a NYC, io vado a lanciare un’occhiata.
Foto (Monica Piscitelli): Enzo Coccia con la giubba della Chic, associazione che riunisce molti chef stellati.