E’ curioso come l’Italia non sia riuscita a creare un brand forte per l’impressionate ricchezza agroalimentare di cui dispone. In giro per il Mondo, come è ovvio, indugio sempre nei locali o catene che propongono ordinatamente incredibili moli di prodotti di questo o quel paese.
New York City, la Grande Mela, è maestra con una quantità di negozi specializzati che lasciano increduli su come sia possibile mettere insieme tanto eccellente ben di Dio.
Ci sono prodotti di tutto il Mondo, e all’Italia è riservato sempre un posto d’onore. Ci sono lì prodotti che non vedrete mai tra i corridoi di un supermarket tricolore, anche perché questi mall center del food non appartengono a questo categoria. Chiamarli supermarket è assolutamente riduttivo. Li chiamerei meglio paradisi per foodies, luoghi dai quali non si può uscire senza i crampi alla pancia e acquolina in bocca. Ma soprattutto, guardandosi attorno e vedendo la gente intenta, come orde di cavallette affamate, a riempire il proprio carrello, dei legumi, dei formaggi e dei prosciutti, è impossibile non ritrovarsi pervasi da un sentimento di incredulità: come gli italiani non siano riusciti a impossessarsi del proprio brand, lasciandolo sfruttare ad altri? Un tentativo è Eataly ma solo quest’anno è sbarcato a New York, in gravissimo ritardo.
E comunque nulla del genere è nella capitale dove ancora si vende la pasta tricolore e quattro formaggi nelle botteghe accanto al Pantheon. Quelle simpatiche pittoresche botteghe che i turisti si fermano a fotografare perché cariche di ogni bene. Ma che sono assolutamente ridicole nel rappresentare il caleidoscopio di colori e sapori del quale il BelPaese dispone. Tutte insieme le specialità regionali, provinciali, comunali, del quartiere che l’Italia potrebbe vantare non si vedono mai. Io li ho visitati tutti, i mall di New York City e delle varie città del Mondo dove ho avuto la fortuna di metter piede. L’ultimo il Manor Food di Ginevra. Dove gli abitanti della città multiculturale svizzera, tra un caffè al sole, una passeggiata sul lago, una escursione sulle montagne vicine e tutto il resto, il sabato pomeriggio prendono d’assalto i banchi gourmet per assicurarsi una cena degna di un palato a livello con lo standard di vita della ricca città. Anche perché i ristoranti sono tutti indifferentemente cari. E mangiare a casa, sebbene i salari e stipendi, siano ben più alti dei nostri, diventa anche necessità. Si va da Manor Food, e al piano terra c’è tutta la cioccolata che si desidera, poi si entra nell’aria food. Dove solo il banco formaggi è una distesa di piccole a grandi forme e porzioni. Si affetta di continuo prosciutto spagnolo e il pane di ogni tipo trabocca. I cestini danzano e le casse tintinnano.
E comunque nulla del genere è nella capitale dove ancora si vende la pasta tricolore e quattro formaggi nelle botteghe accanto al Pantheon. Quelle simpatiche pittoresche botteghe che i turisti si fermano a fotografare perché cariche di ogni bene. Ma che sono assolutamente ridicole nel rappresentare il caleidoscopio di colori e sapori del quale il BelPaese dispone. Tutte insieme le specialità regionali, provinciali, comunali, del quartiere che l’Italia potrebbe vantare non si vedono mai. Io li ho visitati tutti, i mall di New York City e delle varie città del Mondo dove ho avuto la fortuna di metter piede. L’ultimo il Manor Food di Ginevra. Dove gli abitanti della città multiculturale svizzera, tra un caffè al sole, una passeggiata sul lago, una escursione sulle montagne vicine e tutto il resto, il sabato pomeriggio prendono d’assalto i banchi gourmet per assicurarsi una cena degna di un palato a livello con lo standard di vita della ricca città. Anche perché i ristoranti sono tutti indifferentemente cari. E mangiare a casa, sebbene i salari e stipendi, siano ben più alti dei nostri, diventa anche necessità. Si va da Manor Food, e al piano terra c’è tutta la cioccolata che si desidera, poi si entra nell’aria food. Dove solo il banco formaggi è una distesa di piccole a grandi forme e porzioni. Si affetta di continuo prosciutto spagnolo e il pane di ogni tipo trabocca. I cestini danzano e le casse tintinnano.
Ammirevole è che alle pareti Manor affigga le foto dei produttori che conferiscono alla catena il loro prodotto. Sono quelli dei dintorni, “i locali” il cui prodotto è ben contrassegnato e anche di prezzo più ragionevole. Faccio un salto nello spazio vino e, per l’Italia, trovo uno scaffale grande per la Toscana e uno di uguale dimensione per il resto delle regioni. Mi diverto a cercare il vino campano e rimedio un paio di bottiglie tra le quali il Serpico dei Feudi e mi rallegro della presenza di Castello Monaci, pugliese. E’ la seconda volta, in un breve arco di tempo, che la trovo all’estero. C’è poi un Aglianico del Vulture e un Primitivo salentino, Insomma: un po’ desolante la situazione del Sud Italia, specie perché non c’è un bianco e fra i rossi non c’è un Taurasi. Aspettando un paradiso per foodies anche qui da noi…