Discuto spesso con mio marito della zuppa di pesce (come se non avessimo di meglio da fare!). Lui sostiene che a Napoli non la sappiamo fare. L’affermazione mi arriva come un colpo al cuore: “ma come, la città del mare, del sole e della fantasia, non sa fare la zuppa di pesce!”. Mi attraversano, in un lampo, la mente le canzoni, le immagini di Sorrento, i pescatori del mare che fu, e mi vien da piangere. Ma non posso dargli tutti i torti.
Una volta quel pot-pourri di pesci di vari tipi, colori e consistenze, era un piatto povero. Se lo preparavano a casa i pescatori con i pesci di scarto, la “minutaglia”, che nessuno voleva, che non avevano mercato.
Ma oggi che bisogna “grattare la spasella” per tirar fuori una gallinella (coccio), uno scorfano, una rana pescatrice, una tracina , una lucerna (tutti pesci bruttissimi, tra l’altro) le cose sono ben diverse.
Sono pochi gli chef che si cimentano in questa preparazione che infastidisce molti clienti (neopauperisti gourmet a parte, pronti a negare), nientedimeno, per la presenza delle spine (!) e forse anche perché induce a una certa scompostezza a tavola. Abbiamo convenuto, mio marito e io, che forse c’è differenza tra Pesce a zuppa e la Zuppa di pesce. Nella prima il pesce affiora di più.
I suoi clienti americani ogni volta si lamentano, mi racconta, del fatto che la Zuppa di pesce è secca. Non c’è zuppa nella zuppa. Se la “zuppa è poca, il pesce non galleggia!” mi vien da dire.
Difatti, sebbene in molte zuppe, ai ristoranti in giro per il mondo (penso alla Spagna), del pesce, ci sia solo l’odore (oltre a qualche spina), è incontrovertibile che siano più sugose. In alcuni casi i pesci non si vedono affatto, immersi nel loro liquido amniotico che, spesso, e anche troppo carico di pomodoro.
Insomma, tutto questo rafforza la mia idea che la zuppa di pesce sia una affare serio. E quando divento seria, in automatico, insorge la nostalgia e mi ricordo che l’ultima “signora zuppa” che ho mangiato risale a quella che faceva mio padre nelle domeniche in cui invitava amiche a amici a pranzo e tutti gli invidiavano assolutamente la sua capacità di cucinare il pesce “Giuro, ho fatto come mi hai detto, ma non mi è venuta così…!”. Le sento ancora le signore ingioiellate e profumate che gli ronzavano attorno mentre lui, sguardo sul suo pentolone, dischiudeva uno di quei sorrisi da petit pest che ai miei occhi di giovane donna, alcuni anni dopo, me lo facevano sembrare il più bell’uomo al mondo.
Ma a mio marito, quella zuppa, posso solo raccontarla. E anche il sapore di quei pesci della storica Pescheria Pariante ai Tribunali che qualche anno fa ha chiuso e che ogni domenica mi vedevano piccola devota acquirente.
Ma guardiamo al presente.
Se un giorno vi venisse voglia di un brodetto (o di una zuppa di pesce o di un cacciucco, che dir si voglia), potrete ricordare questo nome: Stefano Deidda. E’ lui il vincitore dell’ottava edizione del Festival Internazionale del Brodetto e delle Zuppe di Pesce, organizzato a Fano da Confesercenti Pesaro e Urbino.
Il suo brodetto aromatizzato con menta, finocchietto, maggiorana, e guarnito da una pralina di scampo, ha convinto la giuria tecnica presieduta da Enzo Vizzari (tra i gurati anche il nostro Luciano Pignataro). Deidda, cagliaritano di 28 anni è attualmente lo chef del ristorante “Dal Corsaro” di Cagliari.
Monicotterando – La disfida del brodetto e del cianciare del pesce che a zuppa non galleggia
Fonte: my brain and sito manifestazione