I vecchi hanno il dono della profezia. Mi avevano pronosticato che un giorno anche io avrei pronunciato le fatidiche parole “non dormirai più come ai tuoi 18 anni”. Da una certa età in poi, si dorme poco e ci si alza già con l’assillo delle cose da sbrigare. Le stesse che ti hanno accompagnato nelle braccia di Morfeo al quale non si chiede più solo il sonno ma di esercitare il potere dell’oblio.
Al mattino la città caotica opprime con l’inutilità delle file, della burocrazia, dell’aggressività gratuita. Non c’è posto per l’auto, trovi un oggetto ad occuparne uno per il prepotente di turno, mentre la spazzatura ti guarda dal marciapiede pronta a saltarti addosso.
Non c’è spazio per camminare a piedi, con il carrozzino o con la carrozzella. C’è chi è depresso, chi si ammala, chi muore e chi si uccide ogni giorno con il vizio del fumo. Per corri la tua strada e non ne vedi la fine. A volte non ne conosci neanche la direzione.
Si litiga furiosamente per un posto da papera in una vasca nella quale l’acqua è poca e qualcuno si diverte a risucchiare quel che resta con una lunga cannuccia. Poi … ti allontani per 4 giorni in visita agli amici di Berlino e scopri che c’è chi si stressa perché deve fare l’esame per portare la bicicletta sulle belle e ampie piste ciclabili della città. Guardandoti attorno nella capitale tedesca non trovi nulla di quello che era solo 21 anni fa e ti chiedi come mai la tua città sembri invece perennemente uscita da un bombardamento. Sotto i tigli la città ha smalto, ti entra nelle narici con il suo buon odore di nuovo. La porta di Brandeburgo vede il passaggio di artisti in cerca di opportunità e coppie di innamorati.
Un’italiana, mi racconta, ha aperto un ristorante gastronomia senza alcuna difficoltà. Ha una clientela affezionata ma lavora senza stress secondo orari prefissati cui si attiene scrupolosamente. I tavoli in strada sono disposti su un marciapiede lustro.
Nel week end non si lavora a Berlino, per davvero. Pensa te: il lavoro una volta usciti dall’ufficio resta in ufficio! Alle 18,00, al più tardi, ognuno è pronto a fare la sua corsetta nel parco. Qualcuno pianifica un corso di ceramica o porta i bambini a un incontro con altre famiglie. Si va al parco giochi.
Un’ora dopo a Napoli un’orda di disperati al limite delle energie fisiche e mentali si incunea in un’uscita della tangenziale per tornare a casa. Sta imbottigliata nel traffico seduta nell’automobile a gas che serve a far quadrare i conti a fine mesi. E pensa: si sono appena incassati i soldi dello stipendio e ci si chiede per l’ennesima volta se valga la pena uscir di casa alle 7,30 per rientrare 14 ore dopo. Frattanto a Berlino si cena e si è pronti per il teatro o per il cinema.
Ieri mattina sono uscita furibonda dalla porta di casa inveendo contro i miei cari perché tutto questo e altri cinque milioni di pensieri mi si affollavano in testa. Mi sono detta che per nulla al mondo avrei voluto fare 180 chilometri in direzione Sud, ma dovevo per forza. Il lavoro per me è prima di ogni cosa.
Ma, acceso il contatto del’auto e la radio, superati i primi quindici minuti di sconforto, alla vista del Vesuvio fosco, già la tensione ha cominciato ad allentarsi. Arrivata a Vallata, lì dove il paesaggio comincia ad ampliarsi e il verde guadagna ogni angolo del bulbo oculare, già pregustavo il resto.
La strada per il Vulture è senza ritorno per i cattivi pensieri, tanto è bello. Una volta tra Maschito, Barile, Ginestra,Venosa, la strada è punteggiata di fiori, grano, papaveri di fuoco, cespugli di ginestra che invadono l’automobile con il loro profumo. Mi fermo a far qualche foto e a raccogliere souvenir da mettere in vaso. Due chiacchiere con i produttori di vino che sono andata a visitare e il gioco è fatto: la campagna mi ha regalato la guarigione dalla rabbia e dalla stanchezza. Torno a Napoli, all’Inferno, con spirito novello. Il Vulture pulito mi ha lavato l’anima e la campagna, con i suoi ritmi senza ritmo, mi ha riconciliato con il mondo e con i suoi abitanti.