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L’Unità d’Italia a tavola: il ruolo della pizza. Il Gragnano e il Lettere sul Tricolore

20 Marzo 2011 by Monica Piscitelli

La tavola ha dato un contributo determinante lla definizione di una identità nazionale che è risultata vincente nel mondo. E’ quasi impossibile parlare di Unità gastronomica. Non c’è un piatto che rappresenta tutta l’Italia. Invece un insieme di piatti, vini, stili in cucina ne sono diventati la rappresentazione.
L’identità della cucina italiana, la sua ricchezza, è proprio nella varietà, dal fatto che essa è alimentata dalle tradizioni di ogni regione e, che ciascuna di esse si articoli a sua volta in tanti sotto territori.
In questo 2011 si festeggiano vari primati. I 150 del Paese, ma anche il primo centenario della morte di Pellegrino Artusi, creatore del cosiddetto Risorgimento enogastronomico dell’Italia e autore del “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, che per farla semplice, si può dire abbia teorizzato e raccolto le prime ricette “italiane”. Intanto i nostri chef raccolgono riconoscimenti. Per dirne uno grandissimo: Massimo Bottura è stato giudicato il migliore chef al mondo secondo l’Accademia mondiale di Cucina di Parigi, l’ente che le riunisce tutte,
Un paio di sondaggi ripresi da La Stampa di Torino (pezzo a firma di Gigi Padovani) sono significativi nel fotografare la percezione della cucina italiana e dei suoi cavalli di battaglia. Swg ha messo in evidenza che il 46 per cento degli italiani la cucina e i piatti della tradizione italiana sono l’aspetto più rappresentativo dell’identità nazionale Meglio della moda (9 per cento) e, grazie Dio, del calcio (5 per cento). Peccato per la scienza e la tecnologia (3 per cento). Ma quale è il piatto che rappresenta l’eccellenza della tavola Tricolore?
La rivista “Alice Cucina” ha stabilito che sono gli spaghetti (al 22% dei consensi), seguiti dalla pizza Margherita (16%) e incalzati dalle lasagne (11%).
Ancora la pizza (napoletana) è tra le protagoniste in un altro sondaggio del mensile “Gambero Rosso. Per i “foodies” è lei, subito dopo due prodotti – Parmigiano Reggiano e Olio extra vergine di oliva. Segue a ruota un altro prodotto campano: la mozzarella di bufala.
E allora parliamo di pizza, e di quella che ho ideato per Kiss Kis Italia virtualmente per parlare di prodotti poco conosciuti, stamani.
Il disco di pizza si presta a essere farcito con la fantasia. Il verde: torzella (o cavolo greco o torza riccia) saltata in padella. Il prodotto è, dal luglio 2006, nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali della Campania. Un ortaggio dalle foglie carnose ricce, di colore verde scuro, largamente coltivato, un tempo, negli orti della zona acerrana-nolana dalla quale è sostanzialmente quasi del tutto scomparsa nel dopoguerra. Il suo sapore – rustico, vivace e pungente – è a metà tra il Friariello e la Cima di Rapa. Si raccoglie in questo periodo: in più riprese tra novembre e marzo. Deve gran parte della sua fama a un paitto antichissimo delle feste natalizie: la “menesta maretata” (minestra maritata).
Il bianco: Ricotta di Bufala Campana, prodotto che dal luglio dello scorso anno si i fregia della Denominazione di Origine Protetta.
La sua tecnica di produzione è antichissima, citata da Columella nel suo “De re rustica”. La ricotta, dal latino recocta (cotta due volte), è ottenuta dal secondo riscaldamento del siero dolce derivato dalla rottura della cagliata della Mozzarella di bufala campana Dop della quale condivide l’areale di produzione
Ha un sapore fresco, delicato e dolce ed è estremamente versatile in cucina, utilizzabile dall’antipasto al dessert,sta particolarmente bene con le verdure di stagione. Si ritiene erroneamente sia particolarmente grassa, in realtà possiede 212 Kcal per 100 grammi contro le136 kcal della Ricotta di latte vaccino e 271 kcal di quella di pecora.
Il rosso: Papaccella Napoletana in padella, prodotto che dal 1998 è uno dei 13 Presidi Slow Food della Campania. E’ una varietà di peperone dai frutti tondi rossi (da verde a rosso vinato) o verdi (da verde a giallo sole), piccolo, dalla forma schiacciata e costoluta, dalla polpa dolce e spessa e dal gusto dolce leggermente erbaceo.
E’ prodotta in alcuni comuni al nord di Napoli: Brusciano, Mariglianella, Marigliano, Acerra, Nola, Castello di Cisterna, Pomigliano d’Arco, Sant’Anastasia, Casalnuovo.
A tavola, secondo la tradizione, sono consumate fresche, saltate in padella, appunto, in insalata o ripiene cotte in forno o di accompagnamento a carne di maiale, baccalà o capitone fritto.

Cosa beviamo su questa mia pizza? Bene, torniamo alla tradizione: un Gragnano o un Lettere, entrambi doc dal 1994 prodotti con uve uve provenienti esclusivamente da vigneti nei Monti Lattari (l’areale del Gragnano Doc comprende l`intero territorio dei Comuni di Gragnano, Pimonte, Lettere, Sorrento, Vico Equense, Massa Lubrense, tutti in Provincia di Napoli).
I vitigni: almeno un 40% di Piedirosso, ma anche Sciascinoso (localmente chiamato Olivella) e Aglianico.
Si tratta di vini frizzanti dal vivace colore rubino con riflessi violacei, alcuni casi con una bella spuma rossa esuberante ma evanescente (cala subito). Il corpo è medio e la gradazione alcolica tra i 10 e gli 11% in volume.
Il sapore è rigenerante: fresco e vivace, fruttato, vinoso con netto sentore di viola e lampone con un fondo gradevolmente amarognolo, specie nel Lettere
Vanno bevuti freddi, il freddo di cantina, naturalmente, o quello del balcone in questa mattina di una domenica in cui la Tramontana è implacabile. Buon divertimento!

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