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La Pastiera di Pietro Macellaro. La ricetta del Pasticcere di Piaggine

16 Marzo 2014 by Monica Piscitelli

Innovare una grande ricetta di questi tempi è proporla secondo tradizione andando a selezionare i buoni ingredienti di una volta.
Perchè senza quelli non potrà mai essere la stessa cosa.
Mentre il tenore glutinico delle farine aumenta vertiginosamente, mentre del grano si preferisce il cuore per una farina bianca immacolata e si trovano scorciatoie varie per fare dolci ad alto contenuto calorico e di basso costo, c’è chi fa una inversione a U e cambia rotta. Fa esattamente il contrario, concependo un dolce che è un inno alla biodiversità, all’amore per la propria terra e al tempo che sembra sfuggire a tutti.

Lui è Pietro Macellaro, una delle voci in prepotente ascesa della  pasticceria campana ridotta ad ectoplasma (quella napoletana, invero). Da Piaggine – nel cuore del Cilento – da un paio di anni fa parlare dei suoi magnifici dolci, dei profumi della sua campagna. Dolci che sono un progetto complesso e ben radicato nella campagna cilentana spiegati, come ho potuto apprezzare oggi, con disarmante semplicità e purezza.
A Città del Gusto Napoli, all’Interporto di Nola, Macellaro, in una affollata confernza stampa, ha presentato l’ultimo: la Pastiera con i grani antichi selezionati, moliti e impastati per dare una pasta frolla ocra, friabile e saporita.
Il grano delle varietà Saragolla e Carosella, una dura e una tenera, dà farina 00, 1 e 2. Per questo la sua miscela risulta un pò più scura. I chicchi dei due ecotipi, per il ripieno, poi, sono bolliti in latte di bufala. Addizionati di una manciata di cicerchie, andranno mescolati con la ricotta, le uova – lavorate con lo zucchero e la buccia grattugiata d’arancia- la pasta di una stecca di vaniglia, i canditi di scorza d’arancia. Cottura in due fasi, ventilato e non, e voilà: la Pastiera è fatta.

L’abbiamo degustata insieme ad altri dolci, leggerissimi.

E io l’ho abbinata (parola grossa, in questo caso) all’Asprinio Grotte del Sole Metodo Classico, immaginando potesse essere un pò più grassa, visto oltre il 51% di burro nell’impasto della frolla. Senza contare che c’era a aspettarsi un dolce meno dolce.
L’abbinamento non è riuscito (a parte l’aspetto concettuale, poteva andar meglio con una annata più vecchia, una di quelle che so i Martusciello custodiscono), ma ho ritrovato uno spumante più ricco di quel che ricordavo. Con una naso fragrante ma anche elegante con i suo bouquet di frutti a polpa gialla e una gradevole mineralità. La bocca più sferzante. Ma andando indietro con il tempo, un affinamento sui lieviti ancora maggiore, son certa che questo spumante, che ha un perlage sottilissimo, potrebbe proprio far volare la pastiera di Macellaro fatta con la Ricotta di Bufala e tanto ottimo burro.

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